Le arti fanno bene alla salute e incidono sulle disuguaglianze
L’OMS ha presentato a novembre 2019 una sintesi di oltre 900 pubblicazioni che conferma che le arti fanno bene alla salute, migliorano la malattia e la qualità della vita, contribuiscono ad un’assistenza e una cura integrata e attenta alla persona. I benefici per la salute e il benessere sono molteplici e dovuti sia a una partecipazione passiva – ad esempio una visita al museo o la fruizione di uno spettacolo o di un film – sia a una partecipazione attiva – ad esempio la partecipazione ad un laboratorio teatrale o uno stage di danza.
Vengono individuate cinque categorie artistiche:
- le arti performative (teatro, danza, canto, musica, film…)
- le arti visive (design, artigianato, pittura, fotografia…)
- la letteratura (scrittura, lettura, partecipare a festival…)
- la cultura (visitare un museo, una galleria d’arte… assistere a concerti o spettacoli teatrali…)
- le arti online, digitali e informatiche (animazioni, videogiochi…).
Le arti possono:
- influenzare i determinanti sociali della salute (ad esempio, sviluppo della coesione sociale e riduzione delle disuguaglianze e ingiustizie)
- sostenere lo sviluppo del bambino (ad es. migliorare il legame madre-bambino e sostenere l’acquisizione della parola e del linguaggio)
- incoraggiare comportamenti che promuovono salute (ad es. promuovendo una vita salutare o incoraggiando il coinvolgimento nelle cure)
- aiutare a prevenire la malattia (incluso il miglioramento del benessere e la riduzione dell’impatto del trauma o del rischio del decadimento cognitivo)
- supportare l’assistenza e la cura (compreso l’aumento della nostra comprensione della salute e il miglioramento delle capacità cliniche).
Mindful revolution
La pratica di mindfulness è uscita da tempo dal mondo sanitario per trovare applicazione anche nelle scuole con gli studenti, nelle carceri con i detenuti, nello sport e nelle imprese. In altri termini, gli ambiti della società che necessitano di uno sviluppo personale fondato su un maggior benessere.
I programmi mindfulness-based rappresentano invece l’introduzione a un cammino che, nella sua costanza e intenzione, può condurre a una profonda trasformazione della vita di ciascuno: ben oltre dunque il diventare più produttivi o migliorare una performance di qualsivoglia genere, che non chiede di abbracciare una particolare visione religiosa del mondo ma un cammino umano per tutti, per una crescita che supera le singole credenze.
Si tratta in conclusione di aprirsi a un risveglio nella vita, per vivere una vita più ricca e piena nella gioia ma anche nel dolore che inevitabilmente prima o poi tutti incontriamo.
Mindfulness e scienza
I programmi di mindfulness si sono comunque diffusi con grande rigore nell’ambito della ricerca clinica, con il fine del tutto condivisibile di sostenere il potenziale di guarigione dell’unità corpo-mente.
La diffusione della mindfulness ha dato impulso agli studi che valutano gli effetti della meditazione sul cervello. Si è potuto rilevare come la meditazione modifichi gli assetti delle reti neuronali, migliorando non solo le capacità di attenzione, ma anche la flessibilità di fronte agli stimoli esterni, modificando la struttura stessa di alcune aree cerebrali (Davidson 2003; Luders 2012). Non si tratta di raggiungere una sorta di apatia rassegnata, ma di una più consapevole e piena comprensione della realtà, che consente azioni più adeguate, meno dettate da reattività, pregiudizi e abitudini (Sharma 2014).
Mindfulness
La parola mindfulness traduce in inglese la parola sati, un termine della lingua pali, antica lingua dell’India nella quale vennero scritti i discorsi del Buddha. Ma la traduzione con “piena presenza mentale” o “consapevolezza” non dà ragione della ricchezza del termine, che si riferisce a una consapevolezza non concettuale, di mente e di cuore.
Sati viene anche descritta come un fattore mentale che si può coltivare, come la concentrazione e la stabilità; consiste nel portare nell’esperienza tutti sé stessi e viene coltivata attraverso la pratica di meditazione.
Quella che noi oggi chiamiamo mindfulness si riferisce in particolare all’esito di una straordinaria intuizione di Jon Kabat-Zinn, biologo molecolare americano e meditante nella tradizione buddhista Theravada, che a partire dal 1979 propose un insegnamento introduttivo alla meditazione in contesti secolari, come gli ospedali.
Bibliografia
- https://www.dors.it/page.php?idarticolo=2904
- https://www.dors.it/page.php?idarticolo=3336
- https://www.dors.it/page.php?idarticolo=3366
- https://www.dors.it/documentazione/testo/201912/Evidenze%20arte%20salute%20-%20191218.pdf
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